L’amnesia di un paese sconfitto

Tradotto da Monica Manicardi

Per non andare troppo lontano, ecco il paese sconfitto, che con tutto quello che è successo  durante la dittatura era previsto che  in questa fase al posto del neoliberismo e della dimenticanza, la società avrebbe ricostruito il suo tessuto sociale, incarcerato  quelli che hanno commesso crimini contro l’umanità da parte del  governo e aver costruito le infrastrutture. Ma, è il  contrario. La stessa società carogna si è impegnata a negare il genocidio, a disprezzare  i familiari delle vittime del Conflitto Armato Interno, e a dedicarsi a guardare tramite la pigrizia e l’apatia come smantellare lo Stato e a  far sparire tutte le risorse, quelli che da allora si appropriano delle urne, delle volontà e della stessa negligenza comune. Perché non c’è niente di meglio per una banda criminale che una società incompetente.

I testimoni che hanno sopravvissuto al Conflitto Armato Interno sono numerosi. Dianna Ortiz, è sopravvissuta  alle torture del governo del Guatemala durante la dittatura.  Una suora statunitense sequestrata dai paramilitari e portata in  un centro di tortura dove l’hanno violentata per 24 ore. Hanno contato 110 bruciature di sigaretta nel suo corpo.  Quello che lì ha vissuto non si può descrivere, è impossibile ripeterlo, e nemmeno immaginarlo. E questa donna ha lottato tutta la vita denunciando, raccontando l’orrore che ha vissuto e che hanno vissuto i popoli nativi.  E così come lei ci sono anche le denunce delle donne ixiles che testimoniarono  in giudizio per genocidio contro Rìos Montt, ma la società le ha lasciate da sole, le hanno segnalate, giudicate. Con ciò hanno dimostrato il peggio dell’ingratitudine perché loro hanno vissuto questi abusi fin da bambine.

Ci sono centinaia di immagini che sono state scattate da giornalisti dove si mostrano i corpi torturati di migliaia di persone, anche così la società continua a negare il genocidio. Si permettono di accusare con la faccia tosta che la propria gente si è cercata questo tipo di violenza. Chi ha detto a loro di cacciarsi in guai più grandi di loro. Tra gli assassinati ci sono meticci e indigeni, ma la dittatura si è infuriata contro i popoli nativi, volevano farli sparire, la tipica Guatemala che si è sempre creduta europea caucasica, anche se il riflesso allo specchio dice il contrario. Per questo hanno bruciato le loro case, crivellato  popoli interi, quelli che sono riusciti a  fuggire si sono rifugiati sul lato della frontiera col  Messico e altri sono fuggiti più lontano, verso gli Stati Uniti. Queste terre rubate sono state regalate ai ladri oligarchici che oggi sono grandi latifondisti del paese. L’idea che queste comunità ritornino è sempre più lontana, anche perché molti sono morti in esilio.

Nella capitale guatemalteca quando si cammina per strada, è normale trovare manifesti incollati al muro, con fotografie di scomparsi, la gente passa senza indignarsi perché non sono i loro familiari. Si è cancellato dal sistema educativo ogni traccia di quel tempo funesto ed è raro che un docente parli del tema con i suoi alunni, è molto probabile che se lo facesse verrebbe denunciato da un suo collega perdendo il lavoro accusato di essere un comunista. Nell’università la sfacciataggine dei docenti  oltrepassa ogni limite, non parlano di genocidio, ma quando lo fanno è a favore dei dittatori. Eccetto qualcuno che si azzarda a dire il contrario, allora è visto come un appestato e gli altri docenti cominciano a prenderlo di mira. Gli alunni non fanno domande perché diplomarsi è più importante, anche se devono pagare per questo. E ci sono, naturalmente, quelli che conoscono la storia e si approfittano per trarre benefici personali.

Lì, si trovano grandi femministe che usano l’abbigliamento indigeno quando fanno conferenze all’estero e parlano dei  diritti delle donne indigene, che ricevono diplomi e riconoscimenti, che le pagano i viaggi e i soggiorni, ma dentro nel paese sono così razziste con queste donne come lo sono  i fascisti di sempre. Editori, case editrici, luoghi di comunicazioni non danno voce alle donne indigene perché per queste femministe le donne indigene non hanno voce propria per parlare di loro stesse né delle problematiche che vivono  nelle loro comunità; loro, meticce e laureate all’università, possono e, ovviamente la conoscenza e la capacità per parlare di queste cose.

Come loro i grandi umanisti della sinistra, alcuni ex guerriglieri che riscuotono fondi nelle conferenze internazionali parlando della memoria storica, soldi che non andranno mai ai popoli d’origine e nemmeno ai familiari delle persone scomparse, soldi che si perdono nel limbo. Perché vivono di questo,  non lavorano, vivono sulle loro spalle, del sangue dei caduti. C’è chi dice che meritano un  buon posto nel governo e fanno da zerbino con i governi neoliberali, lì si vede come leccano le scarpe alle marionette di turno. I grandi intellettuali che sono incapaci di scrivere un testo se non ci sono i soldi di mezzo, figuriamoci se si avvicinano ad una comunità indigena  se non ci sono foto e reti sociali dove si illustra la visita del grande pensatore. Quel che è peggio, è non avvicinarsi perché una cosa è parlare degli indigeni ( e far conoscere la loro disgrazia che hanno sofferto) e l’altra abbassarsi ad andare dove vivono.

E ci sono  i grandi progressisti, i democratici, che né di sinistra né di destra lottano in comodità sui social, ma quando escono  a manifestare i popoli d’origine, si nascondono sotto al letto delle loro case perché non hanno vergogna di quanto siano piccoli difronte alla dignità di quelli che in ogni circostanza  ci mettono la faccia.

La grande maggioranza è stata cretina con il familiari dei sopravvissuti, abbiamo perso la memoria di tutti quelli che hanno lottato e gli hanno tolto la vita per aver azzardato a sognare per un paese  equo.  Tra queste masse ci siamo noi quelli della smemoratezza, nati in questa epoca e che non ci hanno dato niente per indagare per conto nostro, per informarci sulla vera storia del paese, del suo popolo. Andiamo dove soffia il vento e il vento  lo guidano con grandi macchinari di informazione le mafie oligarchiche. Qui tutti tiriamo le pietre e nascondiamo la mano.

Tutte queste mescolanze di subdoli hanno distrutto il Guatemala, forse la schiuma di questa contaminazione è il governo che è quello che resta a galla. E le oligarchie che sanno  che con  un barile di vernice risolviamo tutto, al macello, non andiamo oltre. Hanno tutto a loro favore.  Ma alla fine  il marciume sono tutti quelli che non muovono un dito affinché le cose  cambino. E’ chiaro, i popoli d’origine sono un’altra cosa, che sono la dignità millenaria del paese di altri tempi, un luogo di molti alberi.

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Ilka Oliva Corado @ilkaolivacorado

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