Scrivete, donne, scrivete

Tradotto da Monica Manicardi

Alle bambine le regalano bambole affinché apprendano da piccole che  il loro posto nella società è quello di partorire e allevare bambini; bambini che saranno i loro figli, fratelli, nipoti, fidanzati, amanti, compagni, sposi…,  qualsiasi sia il grado consanguineo o no, la sua funzione nella società è quello della madre in tutto il contesto patriarcale,  vale a dire; smettere di esistere per servire gli altri.

Ai bambini gli regalano pistole e macchinine affinché assaltino la strada e sappiano che il genere maschile è fatto di guerre. -Sarà?- Poche volte gli danno giocattoli senza questo simbolo di genere tanto patriarcale, giocattoli che chiamano l’inclusione e l’eliminazione degli stereotipi. I giocattoli sono marcati per  settore e colore nei negozi: bambini e bambine.

Iniziamo molto male, fin dalla tenera età  dai 0 ai 5 anni nei quali i bambini e le bambine apprendono tutto come spugne, li segniamo con questi schemi devastatori che li danneggiano nell’infanzia e li danneggeranno nell’età adulta, perché quello che si apprende dai 0 ai 5 anni  in rare occasioni si cancella dall’inconscio di un bambino.

Ma la parte peggiore ce l’hanno le bambine, che saranno adolescenti e donne adulte e in tutte le  tappe della loro vita saranno segnate da questa divisione di genere e per schemi dell’educazione patriarcale, misogini e maschilisti che in un modo o nell’altro cercano di massacrare come genere.

Noi donne siamo obbligate a soffrire in silenzio,  a non manifestare l’ira, la frustrazione, la depressione, le perdite che sono tante, a custodire i nostri sogni sotto il materasso o in qualche recipiente della cucina. Molte volte li lanciamo nella spazzatura così che vadano lontano e non tornarli più a vedere. E la vita passa e cambiamo da bambine  a donne adulte con il marchio nella pelle e nella memoria, con il marchio di genere come spine conficcati nei sensi. Con la violenza vissuta accumulata come brina, come un blocco di cemento sopra le spalle, come una corda alla forca, come un’enorme catena che non ci permette di camminare.

Questo è il patriarcato nel quale cresciamo: la molestia  in tutte le forme possibili, la violenza che ha tentacoli giganti come l’impunità. E noi abbiamo la responsabilità millenaria di seguire resistendo, non solo per noi stesse ma per tutte quelle che sono state messe a tacere e distrutte a colpi. Resistere per tutte quelle che hanno lottato affinché noi oggi possiamo alzare la voce. Ed è chiaro che lì fanno parte le trasgressive che han tirato pietre e si sono incatenate alle porte, fanno parte quelle che hanno manifestato e hanno riempito le strade con slogan, quelle che hanno azzardato a scrivere, quelle che hanno azzardato a correre, a pattinare, a urlare, a scolpire.

Ma le trasgressive di tutta la vita, che in silenzio hanno tagliato le verdure, rammentato biancheria, hanno curato le febbri, hanno spezzato legna e sono state forzate ad aprire le gambe ad un compagno violentatore. A uno schema misogino. Quelle che non hanno ricevuto mai applausi nemmeno lodi, quelle che il loro nome non rimane nella storia del femminismo, ma sono state milioni di loro nell’oscurità e nell’abbandono, resistendo.

Da loro viene la nostra forza, da loro dobbiamo nutrirci, perché anche se viviamo in un apparente solitudine non siamo isole, non rinunceremo, siamo parte di un’edera che fiorisce e si espande per quanto cerchino di strapparla dalla radice e seccarla.

Ricordo oggi le parole di Virginia Woolf, una scrittrice non non ha fatto l’università, ma che è stata l’università  per se stessa e che l’ha   lasciata alle generazioni successive, molti libri da leggere, si può essere più trasgressive?:”Scrivete donne, scrivete che durante i secoli ce l’hanno negato”.  A questo aggiungo che scriviamo, tutte, che abbiamo i nostri diari dove ci prendiamo qualche minuto prima del tramonto e conversiamo coi stesse, che ci amiamo, ci accarezziamo, ci abbracciamo, ci perdoniamo, nella solitudine di una pagina bianca che non ha bisogno di nessun altra compagnia se non della nostra.

Ma quando non possiamo scrivere, osiamo dipingere, a camminare, a correre, a fare esercizi, a saltare, a gridare, a  osservare, a contestare, a formulare un’analisi; che non è necessario molte volte condividere con nessuno quello che si condivide con se stessi. La risposta a tutto non è scrivere, realmente non esiste una risposta assoluta, non è la porta la scrittura, ci sono molte porte, ognuna di noi incontrerà la propria e la sua propria forma di espressione; l’importante è non fermarsi perché questo enorme mostro dai tentacoli giganti chiamato patriarcato non è accondiscendente, immobile e silenzioso.

Un buon esercizio generazionale potrebbe essere  che al posto di regalare bambole alle bambine, le regaliamo un diario e un astuccio di acquerelli.  Affinché fin da piccole sappiano che hanno tutto il diritto di espressione e che tramite l’espressione non c’è una forma precisa.

Finisco con la frase di Virginia Woolf, che è applicabile in qualsiasi circostanza nella nostra vita.  E non dobbiamo mai abbassare la guardia, perché è così come fiorisce questa enorme edera che fa del nostro genere la resistenza stessa.

Questo testo può essere condiviso in qualsiasi blog o social network citanto la fonte di informazione  URL:  https://cronicasdeunainquilina.com

Ilka Oliva Corado @ilkaolivacorado

Deja un comentario

Este sitio usa Akismet para reducir el spam. Aprende cómo se procesan los datos de tus comentarios.