Tra la confusione e la serenità

Tradotto da Monica Manicardi

Ci sono giorni in cui voglio scrivere e non ci riesco e per quanto ci provi non esce nulla, le parole si nascondono. Le idee diventano nodi nella mia testa e non li posso districare. Accendo incensi, profumo la mia abitazione, mi preparo un tè, faccio alcuni esercizi per stirare i muscoli, respiro profondamente e lentamente. Torno a provarci. E passano i minuti e le tre righe nel foglio bianco non avanzano, allora mi rendo conto che non è il giorno giusto per scrivere. Il bicchiere è vuoto, non devo scrivere quando la confusione non mi permette di esprimermi. Ho bisogno di silenzio.

Per questa ragione i  miei testi li pubblico in un giorno qualsiasi a qualsiasi ora, perché  se salvo il testo molto probabilmente non lo pubblico. Nemmeno riesco a rileggerli, se li torno a leggere dopo che li ho scritti non mi piace più cosa ho scritto e perdo l’interesse completamente, non voglio nemmeno toccarlo. Io  non posso decidere cosa scrivere, non so quello che scriverò fino  a quando non esce qualcosa in questo foglio bianco, la mia scrittura viene dall’anima non dal cervello. E nemmeno riesco a scrivere su richiesta, mi blocco completamente e perché non mi piace che la gente mi dica cosa scrivere. Difendo completamente il diritto della mia scrittura ad essere se stessa.

Questo periodo di silenzio può durare un giorno, tre giorni, settimane (anche se alcuni anni fa duravano mesi), quando mi allontano dal computer. E quando lo riaccendo  posso scrivere un racconto o articoli di opinione. Perché la poesia, la poesia si avvicina a me solo quando  vuole lei. All’alba mi sveglia fuori orario per scriverla, al tramonto, nella notte, per questo ho sempre un taccuino e una penna con me, perché arriva in uno scatto e se ne va. Come un acquazzone, come una tormenta, come una nube che passa, come la nebbia all’alba, come la rugiada dei fiori del mattino che a metà del giorno cominciano a piegare i petali.  Ma perché lei possa arrivare devo stare in completo silenzio, non mi fa visita se il bicchiere è pieno o mezzo pieno, deve stare completamente vuoto. E arriva per saziarmi, per calmare la mia sete, per ospitarmi, per riempire di fiori i vasi vuoti.

Non riesco a scrivere meccanicamente, decidere il giorno a quale ora, scrivere un testo qualunque. Non posso. I miei testi sono come sono io. Non importa se è un racconto, una poesia, o un articolo di opinione, tutti hanno la mia personalità, il mio carattere. Sono ruvide come me. Ruvide e scontrose. Oneste, questo sì. Chi vuole conoscermi deve solo leggere i miei testi, nemmeno di persona potrei essere tanto vera come quando scrivo.

Ci sono giorni che non posso scrivere, le parole non danzano, non c’è armonia. E poco a poco sto imparando ad essere paziente, ad aspettare, a  respirare senza fretta per darle il loro  spazio e non soffocarle, affinché non si annoiano di me. E mi allontano e le lascio da sole, libere per tornare da me quando sentono che hanno bisogno della mia compagnia. Prima quando loro se ne andavano io ero in agonia, non potevo respirare, mi sentivo incarcerata, abbandonata, accantonata e soffrivo molto per la mancanza di espressione perché so già cosa significa essere lì. Ma scrivendo ho imparato ad aspettare, a vivere quando loro non ci sono, anche se mi mancano. Capire che il bicchiere è vuoto e il silenzio sono necessari per vivere perché ti mettono in pausa, ti calmano e formano un equilibrio tra la confusione e la serenità.

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Ilka Oliva Corado @ilkaolivacorado

06 de abril de 2020

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