Tradotto da Monica Manicardi
Ascolta la sveglia in lontananza, si gira a guardare, sono le tre e mezzo del mattino, si alza assonnato e va in bagno, dalla sera precedente ha lasciato il secchio pieno d’acqua per non dover andare in quel momento a portarlo fuori nella botte che è nel cortile. In un sacco ha quattro cambi d’abito, ne tira fuori uno che ha stirato la sera prima e si prepara ad aspettare il fattorino del pane che non tarda ad arrivare.
Su uno dei due fornelli da tavolo scalda i fagioli, sull’altro scalda le tortillas, dal frigorifero prende un sacchetto di panna e formaggio fresco che glielo porta il venditore che arriva da Taxisco ogni settimana, si serve una tazza di caffè e dal cestino tira fuori due panini dolci con burro. Si serve i fagioli, mette le tortillas su una tovaglia e comincia a fare colazione, sono le quattro del mattino, tra un’ora deve aprire l’emporio, ma prima Ovidio deve pulire e organizzare il bancone come tutti i giorni prima di aprire.
Dopo aver pulito il bancone, spazzato i locali e spolverato gli scaffali, mette nei sacchetti il pane freddo del giorno prima per venderlo a metà prezzo. Quando gli dissero di andare nella capitale ad occuparsi di un emporio, si entusiasmò di studiare alla scuola serale, perché quello era l’accordo con il proprietario, un uomo originario della stessa città che se ne andò negli Stati Uniti senza documenti e tornò vent’anni dopo con i documenti e i soldi per avviare un’attività e tornare al Nord. Arrivò al villaggio dicendo che era un uomo migrante d’affari.
Nella nativa Nahuatán, Pajapita, San Marcos, Guatemala, Ovidio non aveva futuro se non quello di andare negli Stati Uniti come hanno fatto decine di giovani del suo villaggio, cosa che anche lui voleva fare, ma sua madre gli disse che se ne fosse andato molto probabilmente non si sarebbero più rivisti, come è successo a tanti che muoiono lungo la strada negli Stati Uniti o muoiono i genitori nell’attesa del loro ritorno. La pregò di non andare così lontano, il dolore che aveva provato durante il parto era della stessa intensità di quando lui è partito e non l’avrebbe più rivisto.
Hanno concordato con il suo datore di lavoro che gli avrebbe dato due bonus annuali, dieci giorni di ferie all’anno e per la festa dell’ultimo dell’anno poteva andare a trovare la sua famiglia, poteva finire gli studi alla scuola serale e poteva vivere nello stesso posto che sul retro aveva una stanza molto confortevole, ma niente di tutto ciò era vero. Ovidio lavora da sette anni nel negozio di alimentari della capitale, dorme a pochi passi dai fusti di gas propano, su un materasso buttato sul pavimento maleodorante, che c’era già quando è arrivato. Si alza all’alba, chiude l’emporio alle dieci di sera e va a dormire a mezzanotte, non può farlo prima, deve fare i conti della giornata, ordinare i prodotti e organizzare gli scaffali.
Il proprietario del negozio ha aperto altri tre negozi e ha assunto giovani dello stesso villaggio per servirlo, i suoi amici del villaggio gli hanno detto che quell’uomo d’affari migrante li sta sfruttando. Sua madre gli dice di non mollare, che lì ha un tetto e da mangiare e che cambiare lavoro comporterebbe delle spese. Che resista, che è giovane, che arriverà l’opportunità di qualcosa di meglio. Ovidio tra gli spaventi dei fusti di gas propano che tiene per la vendita, ha subito anche innumerevoli aggressioni, le inferriate non lo proteggono da una pallottola o da minacce quando va al mercato a comprare frutta e verdura per l’emporio, gli tengono un’imboscata per ucciderlo ma consegna i soldi.
Ha scoperto che diverse giovani donne che lavorano nei negozi di tortilla del settore si trovano nella stessa situazione, loro stesse le hanno raccontato che negli empori circostanti ci sono anche giovani indigene che le servono, che le hanno prese dai loro paesi e che parlano a malapena spagnolo. Come lui che è arrivato parlando mam e parla mezzo spagnolo nonostante gli anni che ha vissuto nella capitale. E per non parlare delle aggressioni, le hanno lasciato persino dei bigliettini dove gli assalitori chiedono loro un compenso settimanale per non ucciderle. I titolari delle tortilleria fingono di non capire, nonostante di notte siano andati a macchiare di sangue le pareti come avvertimento.
Carmen, una delle ragazze che lavora al negozio di tortillas, non vuole più correre rischi e perdere la vita in una rapina, o lasciare i suoi polmoni nel fare tortillas per riempire le borse degli altri, da mesi dice di andare negli Stati Uniti, che lì li riceverà un suo cugino, cinque suoi collaboratori partiranno e si uniranno a una di quelle carovane di migranti honduregni che attraversano il Guatemala.
Finalmente Ovidio si decide, una mattina si è alzato come al solito, e ha ricevuto il pane. Non ha aperto il negozio, è uscito dalla porta sul retro, ha preso i soldi della settimana e ha chiamato il proprietario per comunicargli le sue dimissioni, gli ha anche detto che avrebbe lasciato la copia della chiave alle ragazze del negozio di tortillas all’angolo, di non preoccuparsi, che non aveva rubato niente.
Sulla strada per il Messico i due passarono per San Marcos, ma Ovidio non volle andare a trovare i suoi genitori, perché sua madre lo avrebbe convinto di nuovo a non partire, perciò partì solo così, come se ne vanno i più colpiti delle classi sociali: come uccelli in stormo alla ricerca di altri orizzonti.
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Ilka Oliva-Corado @ilkaolivacorado