Gli occhi del cuore

Tradotto da Monica Manicardi

Afferra la scopa e il manico della paletta e inizia a cercare immondizia da raccogliere, appena inizia la terza giornata di lavoro e Milagros cade dal sonno. Si è truccata con cosmetici in polvere, si è lavata con la lozione ed è entrata a malapena nell’uniforme stretta sui fianchi, indossa uno stivale a tacco medio, anche se non è necessario come parte dell’uniforme da lavoro, ma vuole apparire un po’ più alta.

Il mese scorso si è messa le ciglia finte e si è tinta i capelli di un biondo brillante, anche se sa che non potrà mai nascondere completamente le sue radici meticce per quanto si tinga i capelli e si aggiusti l’uniforme. Ha speso una fortuna per ottenere la permanente, soldi che ha risparmiato per cinque mesi, ha arricciato i capelli lisci ereditati dai suoi antenati.

Se potesse, cambierebbe anche il colore della sua pelle dal color quercia a uno più chiaro, in realtà Milagros vorrebbe sembrare polacca o russa, vorrebbe quel tono della pelle e quell’altezza e snellezza. Non vorrebbe nemmeno sembrare un’indiana, le indiane che conosce sono più scure di lei e hanno grandi borse evidenti sotto gli occhi. Povere, pensa- anche le asiatiche con quella pelle pallida, non vorrei essere asiatica-. Tanto meno nera africana, con quel colore sporco della pelle, così nero, così scuro. Milagros darebbe il braccio destro per sembrare europea e avere gli occhi azzurri o verdi. Ecco perché si è messa le lenti a contatto, anche se realmente non ne ha bisogno.

Forse in questo modo, pensa, non la fermerebbero così spesso nei supermercati per chiederle se pulisce le case o se vuole lavorare a fare hamburger in un fast food. Ecco perché ha deciso di cambiare aspetto, perché essendo un’altra fisicamente non sembrerebbe così latinoamericana. Non può fare nulla con il suo inglese a malapena lo balbetta, per questo parla il meno possibile al lavoro.

La mattina dalle quattro alle otto lavora in una panetteria mettendo il pane in scatole che poi vengono inviate ai vari supermercati, a metà mattina inizia il secondo lavoro, dalle dieci alle quattro del pomeriggio, in un negozio di abbigliamento dove trascorre il tempo nel magazzino ad avvolgere fili, ritagli di stoffa e pulire. Il terzo turno è la manutenzione in un centro commerciale, dove ci sono macchine e un ristorante. Mentre i genitori mangiano e bevono, i bambini giocano con le macchinine. Lì entra alle sette ed esce alle dodici di notte.

Milagros non vuole essere l’addetta alla manutenzione, perché si capisce dalla la sua uniforme insieme alla pala e la scopa con cui lavora tutta la notte. Vorrebbe che uno di quei gringos che vengono a divertirsi la vedessero in un modo diverso, che quando si rivolgono a lei non è per chiederle di raccogliere il cibo caduto dal piatto o la birra che hanno rovesciato giocando le macchinine. Non vorrebbe essere quella che pulisce i bagni.

Per questo si tinge i capelli e si fa la permanente e si mette crema su crema per il trucco, si mette anche le ciglia finte che a malapena le lasciano vedere, e indossa scarpe col tacco alto anche se si stanca subito, compra quella costosa lozione usata da tante gringas ed europee, per non sembrare quella che è: una meticcia latinoamericana come migliaia che vengono negli Stati Uniti per lavorare in mille mestieri e il cui aspetto fisico è solo una parte della bella diversità del mondo.

Milagros non ha la percezione che il suo comportamento, che la negazione della sua origine, che il suo desiderio di essere qualcun altro, di avere un colore della pelle diverso, un colore degli occhi diverso è un’imposizione che anche i suoi antenati hanno vissuto per millenni, perché vogliono che si vergognino della loro origine e la respingano. Ma non ha nessuno intorno a lei che glielo dica, perché tutto ciò che la circonda è una massa di donne latinoamericane che sono state relegate a lavori domestici e di manutenzione, senza una sola possibilità di uscire da quel settore, a causa del loro status di indocumentate .

Milagros vede il proprio riflesso nelle altre. Peccato che non abbia avuto la fortuna- ancora – di incontrare nella grande città donne dei popoli originari degli Stati Uniti, perché allora sarebbero il rifugio della sua anima migrante con l’essenza della terra originaria e non le permetterebbero di cedere all’imposizione degli invasori.

Le direbbero che le donne asiatiche sono belle con il loro colore della pelle, così come le donne indiane con le loro caratteristiche occhiaie, come lo è lei con la sua altezza e la sua etnia. E le direbbero anche che la negritudine dell’Africa è la più bella di tutte perché è l’origine da cui sono nate tutte le etnie del mondo. Che un primo apprendimento sarebbe smettere di farsi violenza rinnegandone l’origine, distaccandosi dai pregiudizi e imparando a vedere con gli occhi del cuore che essi sono l’altezza dello spirito.

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Ilka Oliva-Corado @ilkaolivacorado

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