In un’alba di ghiaccio nero

Tradotto da Monica Manicardi

Esce dal lavoro alle sei di sera, oggi ha pulito due case, l’ultima ha impiegato più tempo del dovuto perché i suoi datori di lavoro iraniani hanno celebrato il natale, un natale tardivo che si celebra il 7 di gennaio nel calendario Juliano, così le ha spiegato la padrona di casa in diverse occasioni capitando nel bel mezzo del lavoro raccontandole storie del suo paese e del suoi antenati. Tomasina la lascia sempre parlare senza smettere di lavorare, capisce a malapena l’inglese.

Quando è arrivata ha trovato la casa sottosopra,  i suoi datori di lavoro non  considerano che  è in avanzato stato di gravidanza e invece di  aiutarla a non sporcare così tanto, sembra che facciano apposta  a buttare la spazzatura sul pavimento perché lei pulisca. È che sono montagne di piatti sporchi che non vengono messi nella lavastoviglie da una settimana. Non è possibile che faccia tutto lei. Ma cosa può aspettarsi Tomasina se il suo lavoro è pulire. Se è nata per pulire, è ciò che pensa da tutto il tempo che ha  coscienza.

Pulisce da che ha memoria. Pulire la casa dei genitori, aiutare nella casa dei nonni, pulire il pollaio, il porcile, il recinto delle pecore e le capre. Spidocchiare i suoi fratelli in modo che non fossero imbarazzati a scuola, una scuola che non poteva frequentare perché era la figlia maggiore. Macinare il nixtamal, la granella di mais,  per le tortillas sulla pietra a mano. Lavare i vestiti dei suoi fratelli e di suo padre. Pulire, le sue mani sono state fatte per pulire lo sporco degli altri, lo ha sempre pensato.

Tomasina  che guardava i bambini fare il bagno nel fiume e tuffarsi nei punti più profondi, sognava sempre di divertirsi anche lei, immaginava come sarebbe stato saltare dai rami degli alberi e cadere nel fiume, come  facevano i bambini, ma le era vietato dai genitori, che lo consideravano una perdita di tempo con la quantità di impegni che aveva in casa. Essere l’unica figlia femmina e la più grande di tutti era un peso  troppo grande per la sua giovane età. Un fardello comune per le ragazze del suo paese. L’unica volta che ha provato a giocare  con le  bambole con i capelli delle pannocchie, è stata picchiata da suo padre che l’ha lasciata a letto per due giorni, il che le è servito per impedirle di riprovare.

Originaria di San Blas Atempa, Oaxaca, Tomasina è emigrata negli Stati Uniti all’età di 16 anni, in un giorno di piogge torrenziali, senza cena e senza colazione,  con le budella che scricchiolavano per la fame, con i piedi intorpiditi appena coperti da scarpe che aveva rattoppato lei stessa. Con un maglione di sua nonna e annodato in un pezzo di stoffa, una manciata di terra in modo che le sue radici non si perdessero così lontano dove stava andando. Era fuggita da un matrimonio combinato dal padre e dal nonno, dal quale né sua nonna né sua madre potevano difenderla, perché l’ultima parola l’avevano gli uomini. Sua madre l’aveva aiutata a partire, è stata lei a chiamare telefonicamente i suoi cugini negli Stati Uniti per prestarle i soldi per il viaggio di Tomasina, il coyote (guida)  era un conoscente del paese che l’ha attraversato lui stesso dall’altra parte.

È negli Stati Uniti da 10 inverni, appena un anno fa ha sposato Felipe, salvadoregno  che è arrivato  2 anni dopo di lei, Felipe emigrò perché mentre era ubriaco ha picchiato il figlio di un poliziotto e questo lo stava cercando per ucciderlo, i suoi genitori lo mandarono a casa dei suoi zii negli Stati Uniti. Felipe gli è stato presentato da un’amica in occasione del compleanno di uno dei suoi figli e da allora non hanno smesso di vedersi un solo giorno, non è che provi amore per lui, come quell’amore delle telenovelas, ma si fanno compagnia e sono molto amici e  per entrambi questo è abbastanza.

Lavora come muratore in un’azienda polacca, dove il lavoro pesante è svolto dai latinoamericani e sono quelli che guadagnano meno perché privi di documenti.  Sono in affitto in un appartamento che condividono con altre 9 persone, entrambi mandano soldi alle loro famiglie nei paesi di origine,  aiutano nello studio e nell’educazione dei loro fratelli più piccoli, per le medicine dei nonni e aiutano anche i loro genitori.

All’ottavo mese di gravidanza Tomasina lavora ancora pulendo  case, è così perché altrimenti non ci sono soldi da inviare e per pagare l’affitto, Felipe non può farcela da solo con le spese. La scorsa settimana ha nevicato molto e questa settimana ha piovuto acqua e neve, che ha trasformato la neve in ghiaccio nero, pericoloso per guidare e camminare perché le strade e i marciapiedi si trasformano in lastre di ghiaccio. Da poco  emigrante, è caduta più volte perché non sapeva camminare sul ghiaccio nero, i cugini di sua madre le spiegarono che si chiama così perché non è come la neve bianca, quel ghiaccio è trasparente e molto scivoloso.

Non ha la macchina, non sa guidare, viaggia in autobus tutti i giorni, vive in un quartiere popolare di operai nell’Indiana. Non aveva mai visto persone tanto nere come quelle che vivono in quel posto, né tanti messicani di così tanti luoghi tutti  insieme. Scende dall’autobus e mentre aspetta Felipe che viene a prenderla perché abita a dieci isolati dalla fermata, cammina fino all’angolo per visitare un negozio di seconda mano che ha appena aperto.

Osserva  la fotografia di una donna con un passamontagna alla porta del locale. Una giovane donna finisce di aprirle la porta mentre la accoglie nel negozio «Comandante Ramona», e le racconta che è un luogo dove si raccolgono fondi per inviare cibo, medicine e vestiti alle comunità indigene del Chiapas. Tomasina, che non sa né leggere né scrivere, guarda le grandi lettere all’ingresso del negozio, ma la sua attenzione viene attirata dallo  sguardo della donna con il passamontagna. La giovane spiega che quella donna è la Comandante Ramona e  gentilmente le porta una sedia in modo che possa sedersi.

Entusiasta, la giovane americana le racconta in perfetto spagnolo di aver viaggiato molte volte in America Latina e di essere rimasta colpita dall’organizzazione delle donne zapatiste in Messico e che la Comandante Ramona è stata fonte di ispirazione per migliaia di donne in tutto il mondo perché lei ha lottato per i diritti delle donne indigene all’interno dei ranghi dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Per questo hanno deciso di intitolare il negozio a lei, in onore della sua lotta.

Vedendo l’interesse di Tomasina, la giovane va a prendere un volantino con la biografia della Comandante Ramona, le dice che è morta nel 2006 ma che il suo esempio sopravvive nelle lotte delle donne indigene del Chiapas. Che la Comandante Ramona si era battuta contro i matrimoni combinati e per il diritto delle donne a decidere sul proprio corpo, per il loro diritto alla libertà, a frequentare la scuola, ad alzare la voce, ad esprimere le proprie opinioni e a prendere decisioni in famiglia e nella comunità. Tomasina le dice che non sa leggere né scrivere che l’opuscolo che le ha dato non servirà a nulla, ma la giovane americana si offre di aiutarla a imparare a leggere e scrivere perché questo è l’esempio del Comandante Ramona, aiutarsi l’una con l’altra indipendentemente dalla nazionalità,  credo o lingua. Si accordano che per tre volte alla settimana dopo il lavoro, con il suo taccuino la giovane le  insegna.

Felipe la va a prendere, lei esce dal negozio convinta che chiamerà sua figlia Ramona, come la Comandante. Che dandole il suo nome, sua figlia avrà la forza, l’integrità e il coraggio di alzare la voce, di lottare per i suoi diritti, di andare a scuola e un giorno finire l’università, in modo che non sia analfabeta come lei, affinché non debba scappare come è toccato a lei  da un matrimonio combinato.

Ne parla a Felipe durante la cena e lui le dice di darle il nome che vuole, che qualunque cosa deciderà andrà bene. Quella stessa notte Tomasina va in travaglio prematuramente e Felipe chiama i vigili del fuoco che la portano in ospedale d’urgenza; nasce  all’alba col ghiaccio nero, Ramona Citlali, a migliaia di chilometri dai suoi bisnonni, nonni e zii, con la forza e l’irriverenza dei suoi antenati indigeni che, come sua madre, sua nonna e la Comandante Ramona, si ribellarono all’oppressione patriarcale. Più tardi, quello stesso giorno, sua madre pianse a San Blas Atempa, quando Tomasina la chiamò al telefono per dirle che era nata sua nipote e che l’aveva chiamata Ramona Citlali, Citlali in suo onore che l’ha liberata da un matrimonio combinato così che sua nipote avesse un futuro diverso.

Finalmente Tomasina potrà piantare quel pezzetto di terra che ha sottratto al suo paese quando è emigrata, magari pianterà un’erba aromatica, le è sempre piaciuto l’aroma del basilico e del rosmarino, o forse pianterà un cespuglio di peperoncino  piquín, per avere sempre a portata di mano il condimento per le zuppe.

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Ilka Oliva-Corado @ilkaolivacorado

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