La realizzazione dei sogni

Tradotto da Monica Manicardi

Ricordo chiaramente quell’istante, le parole che si strozzavano nella mia gola senza riuscire a farle uscire  si contorcevano, il cuore mi batteva a mille e l’incanto  appena mi lasciava il passo. Uscì da quel luogo sconcertata affrontando la luce pallida della sera che abbracciava la notte, mi guardai intorno, presi fiato e camminai verso la direzione della fermata dell’autobus, era nella zona 1 della capitale guatemalteca ed io avevo 17 anni.

L’insegnamento di Educazione Fisica si studia tutto il giorno dal lunedì al venerdì, affinché gli alunni potessero riposare un poco ci davano un pomeriggio libero alla settimana, nella mia sezione ci toccava il mercoledì. Allora io a volte correvo per la zona 1, da sola perché mi piaceva osservare e fermarmi dove volevo, è così entravo in varie chiese per il puro desiderio di respirare il profumo dell’incenso che mi piace tanto, vedere le forme dei ceri i suoi colori e la luce grande delle candele agonizzanti bruciandosi lentamente portandosi con loro le preghiere di fedeli che le hanno lasciate lì. Il silenzio molto particolare di questi recinti, l’aria fredda che passa sotto ai banchi come una corrente che tocca i piedi.

Io che non ero mai passata per le vie della periferia e dei corridori del mercato La Terminal,  camminare nella zona 1  è stato una scoperta monumentale, come è stato impressionante l’istante nel quale ho visto l’arco dell’ufficio postale, mi ricordo di essere entrata ed ho anche osservato tutto lentamente. Figuriamoci il giorno che camminavo in prossimità del teatro nazionale, un gigante. Dico camminare perché non avevo i soldi nemmeno per comprare una gomma da masticare. Questa limitazione dei soldi la vivevo da sempre con i bisogni primari delle calzature, del cibo, la rata mensile della scuola però cominciavo ad avvertirla quando entravo nelle librerie e non potevo comprare un libro. Mi innamoravo di loro e li lasciavo lì negli scaffali, con il cuore rotto. Allora quando ogni due mesi ci davano da parte del governo uno stipendio con l’importo esatto per prendere il bus ogni giorno per 60 giorni, io lo spendevo in libri. Dalla banca andavo direttamente in libreria e ci lasciavo fino all’ultimo centesimo, per i soldi del passaggio ci pensavo sempre dopo come potevo arrangiarmi. Questi libri sono stati la mia compagnia di quegli anni. Li compravo nella versione che facevano per gli studenti, erano libri tascabili, cercavo i meno costosi per poter comprarne il più possibile.

Ma quel pomeriggio camminando nelle vicinanze della chiesa Santo Domingo ho visto su uno scaffale l’annuncio di una proiezione di un  documentario, io non sapevo cosa significasse nemmeno  quella parola, non sapevo che era un documentario ma sono entrata spinta dalla curiosità di quel nome. Ho avuto molta fortuna perché l’entrata era gratuita e appena sono entrata  ha iniziato, meravigliandomi di tutto. La struttura di pareti bianche come le case dei popoli con pareti rustiche dipinte con la  calce, un enorme mantello  bianco appesa ai muri e le immagini in bianco e nero che uscivano da un apparecchio così piccolo che non potevo credere che tanta atrocità, che tanta bellezza e storia potessero entrare in qualcosa di così piccolo.  

Sono uscita da lì con il cuore spezzato in mille pezzi e con un fremito di sentimenti e parole che mi pungevano le labbra, in quell’istante  mi sono resa conto ed ho saputo per la prima volta che ero incapace di esprimere. Quello che ha causato in me vedere il documentario sulla vita di Anna Frank non lo potrei raccontare a nessuno. E’ stato così profondo quello che ho provato che quel giorno ho pianto ma un tipo di pianto non di lacrime ma che si annoda nel petto.

Per quegli anni la poesia che avevo cominciato a scrivere nella mia adolescenza era sepolta a tre metri sotto terra, l’ho interrotta di netto, tutto quello che avevo cominciato a scrivere a 14 anni è andato perduto, l’ho seppellito. Come ho seppellito il disegno. Fino a quando col passare degli anni  e lontano dalla casseforme dove mi sedevo a cavalcioni per scrivere guardando le montagne verde bottiglia, una mattina la poesia è tornata per salvarmi la vita una volta di più. Da allora ho pubblicato 15 libri, lontano da quegli edifici, da quelle strade, da quelle casseforme. Ma perché avere un blog e pubblicare libri? Il mio blog è  il mio diario, l’unico modo in cui posso esprimere i miei sentimenti più profondi, è attraverso la scrittura ed è la mia unica vera forma di comunicazione pura. Potrei parlare, fare video, ottenere qualche intervista  (che evito perché non mi piacciono) ma l’unico modo in cui posso esprimere la profondità di me stessa è attraverso la scrittura.

Sono una sciocca. I miei libri riflettono le mie assurdità, la mia insistenza e la mia gratitudine. Il mio amor proprio è  nel lavoro di  tutti i giorni perché anche  l’amore si impara come si impara a camminare.

Sono queste ostinazioni a dare protezione all’adolescente che vagava disorientata per le vie della capitale. Dirle che può creare i suoi propri libri, che può esprimere attraverso la poesia, le storie, che può dipingere gli scarabocchi che desidera. E non importa se gli altri criticano la tua instabilità emotiva a causa dei suoi modi. Perché non ci sono modi precisi per esprimere la profondità dell’anima. I miei libri sono il mio modo di amarla, di abbracciarla, darle rifugio e calore. E sono questi momenti, quel momento alla porta di quell’edificio, che  accompagno Anna Frank a casa sua dopo aver scoperto non solo la monumentale magia del documentario, ma la profondità dei suoi silenzi e della sua inespressività.

E attraverso di lei alle adolescenti che hanno paura di sognare perché gli è stato detto che i sogni non sono per i poveri, per le pazze, per le puttane, per chi sniffa  colla, per le mamme single, o per chi vende nei corridori del mercato. Nemmeno  per chi lavora nelle case dal lunedì al sabato ed escono la domenica a passeggiare per il parco, vagando disorientate per le strade polverose delle grandi città, con le braccia doloranti per il troppo pulire e lucidare i pavimenti. Sì, i miei libri sono anche per loro e so che un giorno ci incontreremo anche attraverso le figlie delle loro figlie, ma quel giorno ci scioglieremo finalmente in un unico e caldo abbraccio. Per  loro è la mia scrittura e la mia pittura a significare l’insistenza dell’alienate alle opportunità e alla realizzazione dei sogni.

Nota: L’8 settembre 2019, ho pubblicato il mio libro Norte, il mio libro numero 15. Questa fotografia non l’ho pubblicata, ma è la mia fotografia preferita di questa serie scattata dalla magnifica Moira Pujols. E me ne compiaccio  come mi compiaccio di ogni mio dipinto  ed ogni mia creazione.

Questo testo può essere condiviso in qualsiasi blog o social network citanto la fonte di informazione  URL:  https://cronicasdeunainquilina.com

Ilka Oliva Corado @ilkaolivacorado

Deja un comentario

Este sitio usa Akismet para reducir el spam. Aprende cómo se procesan los datos de tus comentarios.