Sulla schiena del indocumentato

Tradotto da Monica Manicardi

Di tanto in tanto vado a comprare in una panetteria di proprietari arabi che vendono il pane messicano ed hanno dipendenti messicani. Nessuno si immaginerebbe che questi arabi mangino grazie ai latino indocumentati che vivono  negli edifici del villaggio. Arrivano con la loro Mercedes Benz di lusso e si mettono dietro affinché  i clienti  no li vedano entrare, nessuno di loro si avvicina al bancone, la faccia ce la mettono i dipendenti messicani.

La maggioranza dei milionari che vivono nei sobborghi del nord della città hanno le loro attività nei quartieri popolari dove vivono gli indocumentati latinoamericani: studi legali, cliniche mediche, negozi. E questi milionari non sono precisamente anglosassoni.

Tra loro ci sono discendenti africani, arroganti e sfruttatori cui sono certa che avendo l’opportunità loro stessi si comporterebbero allo stesso modo o in modo peggiore contro i latini indocumentati, come lo hanno fatto i caucasici  contro i loro antenati schiavizzandoli: gli rovinerebbero la schiena a frustate e li schiavizzerebbero. Asiatici che hanno ristoranti nella città, dove hanno dipendenti latini  nella cucina e nella manutenzione; latini indocumentati perché li pagano meno, quasi niente e fanno il triplo del lavoro. 

Indiani che sanno molto bene come affrontare la storia del indocumentato latinoamericano, perché sanno che è la migliore schiena da carico e lo cercano perché è quello che resiste di più al lavoro e che riceve  quello che gli danno di paga senza proferir parola. Indiani che in India nel loro sistema di caste erano paria o  dalit, qui si trasformano nei peggiori sfruttatori di coloro che non hanno documenti e non parlano inglese, devono dire sì abbassando la testa.

Europei non precisamente tedeschi, francesi o inglesi, ma di paesi piccoli di cui sappiamo  poco che esistono nella superficie della terra, che sono arrivati negli Stati Uniti chiedendo asilo politico, che nei loro paesi  avevano solamente  un paio di scarpe, che sono arrivati con una mano d’avanti e una dietro; darebbero qualsiasi cosa per spaccare la schiena dei  latini indocumentati che hanno come lavoratoti.

E quello che fa tanto male, al latinoamericano indocumentato lo sfrutta fino a rovinare il latinoamericano con documenti. Lì ci sono ovviamente i borghesi, quelli della classe media che emigrano dal Latinoamerica praticamente con la loro residenza in mano e che hanno vissuto largamente con dollari, ricchi per una qualsiasi ragione.

Ma ci sono anche lì quelli che sono stati indocumentati e sono riusciti ad avere documenti; questi sono i più maledetti, i più sfruttatori, quelli che sanno dove picchiare affinché non si noti il golpe (i colpi bassi che danno al cuore e nell’anima), quelli che sanno che possono lavorare a pane e acqua. Quelli che sanno da che parte si stende di più la pelle. Il più abusivo, il più rozzo, il più presuntuoso, il più truffatore è il padrone che è stato indocumentato.

Sono cose che come indocumentato non si vedono appena arriva in paese, sono cose che si apprendono a conoscere con gli anni: aprendo gli occhi, osservando, analizzando, interrogandosi.  Facendo uscire la testa da questa invisibilità e stigma dove vivono gli indocumentati e sfidare a respirare fuori da lì, momentaneamente. La realtà del sistema di sfruttamento ha molti aspetti, infiniti volti.

Non è precisamente l’anglosassone, il gringo, il caucasico, che tratta male gli indocumentati in questo paese. Si tratta in fin dei conti, di chi è inumano a prescindere da dove sia venuto, di quale sia la sua professione o mestiere, quale sia il suo credo, il suo genere. Non c’entra il paese, non si tratta di frontiere, riguarda la condizione umana. Di chi senza scrupolo abusa di chi sta in basso. A chi non si può difendere da se stesso. A chi il sistema ha reso invisibile affinché possa marcire sostenendo sulle sue spalle la malvagità di una umanità che ogni giorno si ostina di più in autodistruggersi.

E tu lettore, raccontami com’è la vita degli indocumentati nel tuo paese di origine. Cosa stai facendo affinché cambi?

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Ilka Oliva Corado @ilkaolivacorado

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