Tradotto da Monica Manicardi
Clemencia comprò i fagioli di camagua (fagiolo che comincia a maturare nel baccello), si stava dirigendo verso i peperoni dolci e le cipolle, ma le sono capitate davanti i fagioli dal cesto di Nìa Maria, la signora Maria. Prima si fermò a testa in giù, saltò, alzò le mani e danzò, ma Clemencia si divertiva a cercare i peperoncini più belli. Il camagua non si arrese e usò la sua ultima possibilità, si gettò a pancia in giù sui mazzetti di erbe dei sette monti, sapendo che era l’unico modo per catturare l’attenzione dei distratti.
Con cinque peperoncini nel sacco, Clemencia cercò le cipolle, ma come un fitto campo d’erba di fine inverno, i sette monti apparvero davanti a lei. Sentiva l’aroma della sua infanzia provenire dalle montagne della Sierra de las Minas. Le si accapponò la pelle e dal suo pugno chiuso caddero i ricordi, di quando vendevano il formaggio fresco, la panna, la ricotta e il siero di latte a casa dei suoi genitori a Teculután, Zacapa.
Se pioveva, la madre gridava loro da qualsiasi parte si trovasse, di andare a coprire gli specchi con un asciugamano e di staccare la televisione, rituali che Clemencia non segue e che non ha insegnato ai suoi figli. In effetti, i suoi figli non sanno cosa sia la ricotta e tanto meno il siero di mucca, se dicesse loro che sua madre ha messo un ferro di cavallo dietro la porta con una treccia d’aglio, non le crederebbero né le direbbero da dove ha preso quella storia. Tanto meno gli direbbe che ha innaffiato l’ingresso di casa con l’acqua dei sette monti o che il mazzetto lo lasciava in un vaso sotto il bancone.
Gli avrebbero creduto se avesse detto loro che è cresciuta spazzando il cortile con un escobillo(pianta piccola)? Per prima cosa le avrebbero chiesto cos’è un escobillo. No, i suoi figli non l’avrebbero immaginata così, ad innaffiare il cortile con le bacinelle o a lavare i panni a mano e ad appenderli con un nastro. Tanto meno avrebbero creduto che mungesse anche le mucche che il nonno materno comprava in modo che sua madre potesse avviare un’attività e non aspettare che Silverio, suo marito, le desse i soldi.
Ma se gli diceva che i suoi piedi erano pieni di parassiti, gli dicevano cosa gli era successo, se si sentiva bene o stava delirando, di che cosa stava parlando. Non le avrebbero creduto che era cresciuta mangiando tortillas, le stesse che sono proibite in casa sua, come patate, mais, banane e tutto ciò che il suo personal trainer e nutrizionista di famiglia dice che non dovrebbe essere mangiato.
È colpa sua, Clemencia si mette la mano al petto; in lontananza sente la voce della signora María che le chiede cosa sta per portare, ma lei non distingue, non capisce cosa sta dicendo, la vede muovere le labbra, ma non capisce cosa sta dicendo. È colpa tua, dice a se stessa, è colpa tua per non aver mostrato loro da dove vieni, quali sono le loro radici, ecco perché sono adolescenti arroganti, che credono che avendo soldi e cinque dipendenti in casa al servizio di tutti i loro capricci appartengano a loro, come se fossero le loro scarpe.
È colpa sua non averli avvicinati alla sua famiglia, alle sue radici, ma alla famiglia del marito, benestante, con buone maniere, che girano il mondo quando ne hanno voglia e vivono di vacanza in vacanza. Perché ha rinunciato alla sua identità? Un brutto risveglio la colpisce come un secchio d’acqua fredda, perché ha nascosto la sua famiglia e perché non è mai andata a trovarli se non le hanno mai fatto del male, al contrario, i suoi genitori hanno fatto di tutto per lei e i suoi cinque fratelli. Perché i suoi figli non conoscono i loro zii o nonni?
Perché si è inventata un titolo universitario che non possiede? Per non metterli in imbarazzo nell’essere l’unica in famiglia senza una laurea? Che stupida, si dice e si batte la testa con la mano. Nía María continua a chiederle quanto durerà, vede Clemencia più distratta del solito, con chi sta parlando adesso?
Clemencia va al mercato ogni giovedì, l’accompagna uno dei due autisti, anche se i dipendenti incaricati della casa sono quelli che fanno la spesa al supermercato. Clemencia ha lo stesso rituale il giovedì da quindici anni. Ha bisogno di sentire le verdure e le erbe aromatiche fresche, sa che non saranno mai paragonabili a quelle del supermercato, anche se costano di più.
Nía María alza la voce, cosa c’è che non va in te, le chiede Clemencia e la fa rinsavire. Nía María, come stai, per favore dammi un mazzo di cipolle, vorrei prendere le erbe dei sette monti, ma non ho dove metterle e per favore dammi cinque chili di fagioli camagua. I fagioli si stringono la mano e cominciano a saltare insieme, finalmente Clemencia li prenderà, le piace vedere dalle finestre della cucina il patio pieno di erba verde, la piscina e la vasca idromassaggio Jacuzzi, anche se finiscono avvolti nell’impasto. Clemencia sono anni che vede il fagiolo camagua, sempre in pieno inverno e nel momento della polenta di mais tostato con limone e sale, del chipilín con riso e panna e dei tamales di fagioli camagua. Compra della rapadura (zucchero di canna dorato) e un ayote sazón (zucca a forma di pera).
Di tanto in tanto Clemencia fa i conti con la realtà, sente la terra dove è nata che la chiama, sente un alone di ghiaccio alla bocca dello stomaco quando ha nostalgia di casa, ma non ha mai osato tornare, manda solo soldi ai suoi genitori mensilmente. Ha molto da perdere, una volta al mese Maria porta le sue tortillas, Clemencia le mangia di nascosto nella sua stanza, con il formaggio fresco che compra al mercato. Poi li vomita, non sarebbe in grado di ingrassare e farsi giudicare dalle sue amiche e, peggio ancora, dai suoi suoceri. Il fagiolo camagua viene regalato ai dipendenti in modo che possano preparare i loro tamales, lo stesso con la zucca e la rapadura e rendersi conto che non è una cattiva datrice di lavoro.
Saluta Nìa Maria, sale in macchina dove l’aspetta l’autista e se ne va, lungo la strada si prepara ad entrare nuovamente nel suo personaggio, smette di essere Clemencia e diventa Valentina, è diventata un’esperta nel fingere, totale, tutto quello che ha intorno è menzogna. Si porta le mani al viso immaginando che, se nel suo paese sapessero che si è chiamata Valentina per inserirsi nella società, la chiamerebbero subito vasca da bagno, getto d’acqua, pozzanghera, acqua per gli occhi che bevono le mucche, persino il fagiolo camagua e le sette montagne riderebbero di lei. Sa che a est non perdonano.
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Ilka Oliva-Corado.


