Bibita alla rosa della Giamaica

Tradotto da Monica Manicardi

In altri tempi avrei comprato le guayabas nel villaggio ognuna  per dieci len (un centesimo), guayabas  delle dimensioni di una mano, ma invece queste guayabas piccoline fanno più male che piacere, molto costosi come tutto, al giorno d’oggi anche l’aria che respiri è costosa, riflette Toña, vedendo come aggiusta il suo stipendio fino all’ultimo centesimo.

Ha voglia di  una bevanda  di rosa della Giamaica,  i sacchetti da un chilo si trovano sempre sugli scaffali sottostanti dove si trovano i fagiolini e le barbabietole. Anche se va sempre dritta alla commissione, oggi Toña vuole passeggiare per i corridoi del supermercato e rinunciare ai frutti incolori e insapori che le ricordano che tutto è temporaneo in questa vita, tranne i pesticidi che sono qui per restare.  Beh, si consola, in passato aveva denti sani, oggi ha una dentiera addirittura più larga del normale.

Quando passa davanti alle barbabietole, ne afferra tre per cuocerle e poi mangiarle a fette, con limone e sale. Mentre sta camminando  passa attraverso lo scaffale dove si trovano il sedano, il coriandolo, le carote, il crescione e la lattuga. Lattughe  di ogni  tipo che compra da anni per le sue insalate,  dal  momento che le dissero di bollire la lattuga e bere l’acqua prima di andare a letto così l’avrebbe aiutata con l’insonnia.  Ma erano solo  storie, perché o era dura come la pietra o il tè era molto trasparente. Ciò che l’aveva aiutata era far bollire la buccia di una banana, l’aveva fatta dormire per dodici ore di fila,  lei che non aveva mai dormito così tanto in vita sua.

Il suo naso è impregnato dell’odore della terra appena bagnata, i suoi piedi iniziano ad affondare nella terra smossa. Ha difficoltà a respirare, ha bisogno di aria, respira a boccate.

Traballa e a malapena riesce ad aggrapparsi al bordo dello scaffale. Ha le vertigini, cosa le succede? Cos’è questa sensazione,  forse le verrà un infarto? No, non lì, lontano, dove nessuno la conosce, senza nessuno che rispedisca il suo corpo al suo villaggio.

I suoi piedi continuano ad affondare nella terra bagnata, finché non ce la fa più e cade seduta in mezzo a qualche solco di lattuga. Le sue mani si sono rimpicciolite, la sua pelle è più scura, si tocca il petto e ha addosso un huipil ( tunica ampia tradizionale), dove sono le scarpe?  I suoi capelli sono neri e lunghi e porta sulla testa il cesto con il pranzo per suo padre e i suoi fratelli che stanno lavorando, ripulendo le erbacce. È una bambina e si trova nella sua nativa Zunil, nella sua amata Quetzaltenango. E ha i denti!

 Abbassa il cesto e taglia le foglie della lattuga più stagionate, le pulisce con il grembiule e tira fuori dal cesto un limone tagliato a metà, il sacchetto con il sale e comincia ad assaggiare la sua manciata di foglie. Mentre il padre e i fratelli pranzano, lei cammina tra i solchi, i piedi pieni di fango, aiuta a ripulire il sottobosco e ne approfitta per continuare a tagliare le foglie. La nebbia abbellisce i campi coltivati e fin dove i suoi occhi non riescono più ad arrivare, è pieno di colture, gli ortaggi sono tutto il suo orizzonte. Le colline ospitano la sua infanzia.

 Lattughe enormi, come palloni da calcio, fini, fresche, ha ripreso a  respirare, ne prende una e se ne va, esce dal supermercato prima di avere un altro malore. Mentre la rosa della Giamaica bolle, Toña taglia i cetrioli, le cipolle, i pomodori e pulisce la lattuga. Pulisce la tavola, la quale ha una tovaglia che le ha mandato la zia, la tovaglia preferita della zia, che per lei è un lusso, la sua eredità più preziosa e se ne prende cura come la pupilla dei suoi occhi. Prima di mangiare, è grata di aver avuto la possibilità di risparmiare per comprare la dentiera in modo da poter masticare bene.

Mentre si gusta la sua insalata, guarda dalla finestra i tarassachi comune (o soffione) che scivolano nell’aria, è giugno e il canto delle cicale inizia ad armonizzarsi con il tramonto.

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Ilka Oliva-Corado

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