In qualsiasi parte del mondo

Tradotto da Monica Manicardi

La sveglia  suona in continuazione, Cheyo la guarda con la coda dell’occhio, stanco, vuole continuare a dormire, appena tre ore fa è arrivato nella sua stanza ha lavorato tutto il giorno vuole dormire, solo dormire, ma  da anni non dorme più di quattro ore e non perché non voglia ma perché non può, il ritmo di lavoro non glielo permette.

Il dolore alla schiena ha preso il sopravvento  e il mal di denti gli martella tutta la testa, riesce a malapena a masticare e ogni volta che fa uno sforzo per buttarsi un pacco sulla schiena si sente come se un ago gli si piantasse nei denti. Ha diversi buchi neri perché sono marci, gli ha detto Jerónima, la ragazza che lavora in una delle sale da pranzo facendo tortillas; come lui è anche lei una migrante nella Città del Guatemala, è arrivata da Quetzaltenango, all’età di 13 anni ha iniziato a   lavorare come donna di servizio e lui a 11anni a  lustrare scarpe, ma da cinque anni lavora portando pacchi, lì le cose vanno meglio, lo pagano di più ma la schiena soffre e un dolore alla caviglia destra a volte lo fa zoppicare.

Cheyo è originario di Rabinal, Baja Verapaz, Guatemala, è il maggiore di nove fratelli, suo padre lavora come bracciante nella semina  e quando arriva la stagione nella raccolta del frutto anonas, semina anche il granoturco, fagioli e zucche sulla terra che affitta annualmente e paga con la metà del suo raccolto di grano. Sua madre vende tamales di fagioli e di atoles al mercato di Rabinal, lava anche i vestiti degli altri e quando può intreccia teli che finisce per vendere ai turisti a metà prezzo, per lo  sconto che le chiedono, dice sempre che è meglio poco  di niente perché  lei ne ha bisogno.

Nella capitale c’era uno zio, il fratello di sua madre che lavorava come guardia di sicurezza privata e affittava una stanza vicino al mercato La Terminal, fu lui che gli trovò un lavoro per aiutare i genitori nella crescita dei fratelli, nello stesso modo  che fecero loro con i propri fratelli più piccoli; è la tua sorte, è così che tocca a noi fratelli maggiori,  gli disse. Il viaggio è stato impegnativo, ha vomitato più volte perché il fumo del camion era molto diverso all’odore della montagna dove è cresciuto, non era mai salito su un autobus nemmeno aveva viaggiato così lontano. Sua madre ha avvolto nei teli diversi tamales di fagioli  e ha messo in un barattolo di olio l’atol, -una bevanda-, gli ha anche dato una bottiglietta di Acqua  Florida che aveva usato, nel caso avesse mal di testa o avesse freddo di notte, per darsela sui piedi e sul petto. Lo abbracciò piangendo e gli diede la sua benedizione, suo padre gli strinse solo  la mano e gli disse che era già ora che diventasse un ometto, che il suo aiuto finanziario era molto necessario a casa.

Quando arrivò nella capitale, trovò nella stanza altri quattro uomini, tutti provenienti dall’interno del paese, collaboratori dello zio, che dormivano sulle stuoie. Su un tavolo di pino trovò un fornello elettrico a quattro fuochi, una padella, una pentola, una bottiglia d’olio quasi vuota e una caffettiera. Per terra in un angolo su un blocco di cemento, quattro contenitori  e quattro tazze, altrettante posate e un pezzo di tovaglia. Diversi rotoli di carta igienica e pezzi di giornale erano appesi a un sacchetto di plastica su una delle travi del soffitto. Appeso al muro un calendario di una donna in costume da bagno.

Lo zio lo presentò agli altri che gli diedero un caloroso benvenuto e lui si mise in un angolo su uno dei materassini in modo che potesse sdraiarsi anche lui; il giorno dopo lo portò a presentarsi con il gruppo di bambini che pulivano le scarpe della zona, la scatola e il materiale gli fu venduto da uno degli uomini che rammendava le scarpe dalla parte del terreno di cavoli. Fu così che Cheyo conobbe la capitale, il fumo dei camion e il trambusto che iniziava alle due del mattino quando i primi camion arrivarono da diverse parti del paese per depositare e comprare la merce.

Non ha mai sentito i suoi genitori parlare del genocidio, è stato suo zio a dirgli che metà del suo villaggio era scomparso e le persone di altri villaggi erano state massacrate quando lui e sua madre erano bambini, lo avvertì  di stare attento con le persone della capitale perché non erano uguali a loro e che erano lì non perché lo volessero ma per necessità. Gli disse di non essere simili a loro e di mantenere la sua lingua a tutti i costi, perché era un’eredità dei suoi nonni. Gli disse anche che doveva iscriversi alla scuola serale per continuare a studiare e Cheyo lo fece con entusiasmo, lì conobbe tanti amici che anche loro  erano arrivati da altre parti del paese, molti parlavano altre lingue che lui non conosceva e insieme hanno cercato di parlare meglio che potevano lo spagnolo per non rimanere indietro nelle lezioni. Tra i lustrascarpe, caricatori di pacchi, cuoche, assistenti di venditori, aiutanti di calzolai, guardie di sicurezza privata, muratori, panettieri e prostitute, Cheyo trovò  calore umano nella grande città che era totalmente lontana dai suoi sentimenti e dalle sue necessità.

Gli unici vili lì erano quelli che andavano a  comprare e che gli urlavano contro come se stessero spaventando un cagnolino quando avevano bisogno che gli lucidassero le scarpe, questo è quello che disse alla  sua amica Jerónima. Con Jerónima andavano al parco centrale quando potevano a  passeggiare per la piazza e mangiarsi un gelato, insieme hanno scoperto che lì  era il punto d’incontro per molti come loro che erano venuti  dall’interno del paese, che anche loro erano  indigeni e che anche loro non si trovavano bene, perché i meticci della capitale li trattavano malissimo al lavoro e per strada.

Un amico che portava pacchi lo incoraggiò a smettere di lustrare scarpe e lavorare come lui, doveva solo fare un carrello di assi di legno, fare una legatura doppia, alcuni sacchi o un pezzo di poncho da mettere sulla schiena, non era una gran spesa, era giovane e forte, inoltre gli stessi clienti lo cercavano, alcuni con un fischio, altri con un grido,  si avvicinavano per  chiedergli aiuto, lui  gli diceva quanto costava il  viaggio a seconda la distanza e il peso ed è così che Cheyo smise  di lucidare le scarpe per trasportare i pacchi.

Ha lavorato lucidando scarpe per 6 anni, a 17 ha iniziato a trasportare pacchi, ha 22 anni e la metà della sua vita vissuta nella capitale, in una busta manda soldi ogni due settimane ai genitori con gli autisti dei furgoni che vanno nel suo paese, frequenta il liceo serale, vede in  Jerónima la bellezza dei cespugli di anice e camomilla, ogni volta che si avvicina sente che il suo cuore sta per uscire dalla sua bocca, Jerónima ha l’anima degli uccelli della montagna dove  ha trascorso la sua infanzia: libero. E lui vuole sapere cos’è la libertà.

Jerónima  è determinata ad andare al nord  perché ha due figli da crescere. È stata abusata all’età di 12 anni da uno dei fratelli della chiesa che l’ha lasciata incinta di due gemelli, i suoi genitori la mandarono nella capitale a lavorare affinché li potesse allevare anche  con il loro aiuto, continuano a frequentare la stessa chiesa e hanno perdonato il fratello che gli ha detto che non sapeva cosa le fosse successo, che il diavolo lo aveva costretto a farlo;  i suoi genitori pensavano che parte della colpa fosse  di lei per aver iniziato a svilupparsi così velocemente e che il suo corpo distraeva i fratelli dalla chiesa.

A differenza di Cheyo, Jerónima sogna solo di raggiungere gli Stati Uniti e di poter raccogliere fondi per mandare a prendere i figli, Cheyo vuole sapere come sarebbe vivere in un altro modo, senza portare pacchi, senza essere sgridato, senza essere sminuito, senza essere preso in giro quando parla spagnolo, vuole sapere come sarebbe avere i soldi per comprare un pezzo di torta o un paio di scarpe. Come sarebbe poter inviare dollari in modo che i suoi genitori possano costruire una casa e i suoi fratelli possano andare al college? Che abbiano  un frigorifero per conservare il cibo e mobili del soggiorno per riposare la schiena, gli piacerebbe mandare loro soldi per comprare dei letti e smettere di dormire sulle amache. Far riparare quei molari in modo che smettano di far male.

Sono le 3 del mattino e suona la sveglia,  in una delle pensioni vicino alla linea del treno Jerónima lo aspetta, andranno al nord con un gruppo di amici, senza pagare il coyote, la guida,  perché non hanno soldi e non sanno nemmeno la strada, ma non li affligge, perché se da bambini sono sopravvissuti all’ingratitudine della capitale nel loro paese, sanno che da adulti potranno sopravvivere in qualsiasi parte del mondo.

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Ilka Oliva-Corado @ilkaolivacorado

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