Tre turni al giorno

Tradotto da Monica Manicardi

Provo ad aprire la porta della panetteria e il vento contrario lo rende ancora più difficile, inoltre è una porta antica, con cerniere antiche senza un mantenimento che rendono la porta una fortezza, quando alla fine ci riesco e sbatte sulla mia schiena, entro storta e appena riesco a mantenere l’equilibrio. La ragazza  che è in cassa sorride e anche  il maestro fornaio. La porta non ti vuole, mi dice il maestro fornaio, un signore di 75 anni circa. Stia zitto, che il colpevole mi ha solo preso la schiena, gli dico, a titolo di risposta al saluto.

Cerco pane francese, voglio mangiare fagioli filtrati con pane francese, ma il pane francese, francese del Guatemala lo trovo solo  andando in città, in centro, diciamo che nei dintorni trovo solo panetterie messicane, russe, polacche e indiane dovo riesco a comprare nel supermercato la baguette francese ma il pane francese del Guatemala sono anni che devo imparare ad infornarlo e voglio imparare a fare il pane, ma la pigrizia non me lo permette.

In questa panetteria  fanno pane messicano e guatemalteco ma il guatemalteco è una imitazione perché la forma è del pane ma la farina e la sua preparazione è allo stile messicano e il pane ha il sapore del pane dolce messicano. I padroni sono arabi che hanno trovato in questo settore la loro miniera d’oro, hanno varie panetterie di pane messicano con operai messicani che la gente pensa che sia realmente una panetteria dei loro connazionali. Vendono persino le pignatte. I padroni si affacciano appena in modo da non essere visti dalla gente, quelli che si mostrano sono i lavoratori messicani.

La sera è fredda, presto comincerà nevicare, i giorni sono nuvolosi con cappe di gelo fin sopra l’erba  grama e ghiacciano  i vetri delle macchine. E’ autunno e si fa scuro a metà pomeriggio. Prendo il mio cestino  e cerco il pane francese, pirujo, che i messicani chiamano bolillos, mentre li sto prendendo uno ad uno con la pinza è inevitabile ascoltare il maestro panettiere cercando di avere una conversazione con una giovane che la manda in cassa, poco più che ventenne, è una ragazzina, gli presta appena attenzione, avrà i suoi pensieri altrove oltre ad essere impegnata a disinfettare il bancone, le pinze e i cestini dove i clienti versano il pane.

Il maestro panettiere insiste con urgenza, come se avesse sete e chiedesse acqua. Ho già il mio pane nel cestino e vado alla cassa e mentre la ragazza mi prepara il conto, io domando a lui: mi scusi se mi intrometto ma è stato inevitabile ascoltare la sua conversazione. Dove dice che vuole trascorrere le sue vacanze quando se ne andrà da qua? Il maestro panettiere si compone, si raddrizza e pone il gomito sul bancone, suppongo che sia il momento di pausa perché ha messo l’uniforme con tutte le norme igieniche stabilite dallo stato nel tempo del virus.

Ha i capelli grigi, è magro, talmente magro che il suo aspetto non è sano, ma come può esserlo se si maltratta lavorando. Si nota la sua stanchezza, nella voce, nel viso, nel suo corpo. Guarda, mi dice, quando me ne andrò sa qui andrò a passeggiare sulle spiagge del Messico, in tutte, mi sdraierò sulla sabbia ad abbronzarmi, andrò di qua e di là, dal nord al sud, da oriente ad occidente e vado a conoscere il mio paese, che non ho conosciuto perché sono venuto direttamente dalla fattoria a qui. Quanti anni è in questo paese?  25 anni e 23 in questa panetteria. Qui lavoro nel tardi pomeriggio ed esco alle 11,30 di sera e vado all’altro lavoro, in un hotel che è qui dietro l’angolo, lo conosce? No, beh, lì c’è un hotel e io ci lavoro da mezzanotte alle 6 della mattina e alle 8 entro in un ristorante a lavare i piatti ed esco a mezzanotte. Ma adesso per colpa del virus non ho lavorato all’hotel e nemmeno al ristorante, solo poche ore.

Ascolta, lavoravo addormentato e per poco non mi è venuto il diabete perché prendevo questi succhi energetici, questi, indicandomi una bibita che era nel frigorifero, ma mi hanno riscontrato una quantità di zucchero in tempo e ho smesso di prenderlo, adesso lavoro solo prendendo il caffè, ma adesso me ne vado,  ho risparmiato seimila dollari, ho già cresciuto i miei figli e con questi soldi torno in Messico, per morire lì ma prima devo andare al mare a mangiare il pesce. Non penso di tornare più qui. Vado a  fare la bella vita in Messico. Non può immaginare quanto mia sia costato risparmiare questi pochi soldi. Sì , lo  immagino, di dov’è? Di Jalisco, di un ranch di periferia, ai miei tempi era solo montagna ma adesso è asfaltato e ci si arriva più velocemente, dicono che ci sia un’autostrada.

La mia borsa del pane mi aspetta, ho già pagato alla cassiera e sta entrando parecchia gente nella panetteria che non ha molto spazio e per la distanza sociale è meglio che io esca affinché altri possano comprare a proprio agio. Saluto la giovane e il maestro panettiere, augurandogli fortuna per il suo rientro in Messico, che non so quando sarà e se sarà, perché il ritorno è l’illusione e la speranza di tante persone indocumentate  come è l’alba che inizia ogni giorno, è la prima cosa in cui pensano per sfuggire momentaneamente dalla realtà attuale.

E perché no con tre turni al giorno!

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Ilka Oliva Corado @ilkaolivacorado

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