Multumesc

Tradotto da Monica Manicardi

L’ho visto passare tra gli scaffali dell’ananas e il negozietto della panetteria, parlava con una ragazza che lo accompagnava, lui caricava il cestino, indossava pantaloni di cotone robusto azzurri e una camicia dello stesso colore, i suoi capelli sempre biondi, il suo modo di camminare e la sua schiena larga li potrei riconoscere  fra milioni, era lui, era Romàn. Le rughe  degli anni cominciavano a marcare il viso e alcuni capelli bianchi affioravano, non aveva il corpo d’atleta  di un tempo ma la sua anima continuava a illuminarlo tutto intorno, come il sole illumina i fiori alle dieci del mattino.

Io, camminavo proprio per il corridoio dove si trovavano le fragole e i pomodori, ho sentito un ribaltamento nel cuore quando l’ho visto passare e volevo urlare Romàn, Romàn!, volevo correre e dargli un abbraccio e dirgli grazie, ancora una volta.  Mi vedevo, mi vedevo che correvo verso di lui, vedevo di nuovo i suoi grandi occhi azzurri come il mare, ma mi sono fermata lì, statica, con le mani sul carrello del supermercato.

Erano almeno 12 anni che non lo vedevo, l’ultima volta che lo vidi fu in palestra prima che  la chiudessero e ci cambiassero l’iscrizione, con questo cambio  molti se ne andarono in altri posti e in pochi ci siamo fermati a vivere nelle vicinanze, tra coloro che se ne andarono c’era Romàn.

Quindici anni fa, appena arrivata, io nuotavo nella piscina della palestra quando un uomo che anche lui nuotava nella stessa corsia all’improvviso si è fermato e mi ha fermato tirandomi un braccio, cominciò a urlarmi, gesticolava nell’acqua, io capivo poco quello che diceva ma era furioso; era un uomo caucasico che mi urlava in inglese. Le altre persone che nuotavano si fermarono ma nessuno fece niente, quelli che erano nella Jacuzzi osservavano ma nessuno fece nulla, lui mi urlava e io vagamente capivo quello che mi diceva, in quel momento un paio di parole che uscivano all’impazzata:  migrante, nera.

Dalla Jacuzzi uscì un omone alto, robusto, dagli occhi azzurri e si tuffò in piscina e riapparse dove stavamo noi e cominciò ad urlare in inglese all’uomo caucasico che si fermò all’istante;  tutta la prepotenza che aveva con me gli salì in faccia che diventò rosso pomodoro e si sentì piccolo  davanti all’uomo che aveva difronte; questo uomo  era Romàn. Il caucasico uscì dalla piscina e se ne andò. Romàn mi chiese se stavo bene e mi disse di continuare a nuotare, di continuare a nuotare lo avevo capito più  dai suoi gesti che dal suo inglese.

Alcuni uomini latini che erano nella Jacuzzi mi tradussero tutto, mi dissero che l’uomo caucasico mi stava urlando cose per farmi uscire dalla piscina, che sporcavo l’acqua siccome ero nera, che dovevo tornare al mio paese.  E che Romàn arrivò e gli disse che gli Stati Uniti erano un paese libero, che io potevo nuotare dove volevo e che smettesse di urlare contro di me  e che doveva urlare a lui se aveva il coraggio.

Dopo alcuni  minuti smisi di nuotare e andai alla Jacuzzi dove c’era Romàn, altri latini traducevano quello che lui mi diceva;  che nessuno doveva permettersi di discriminarmi, in nessuna parte del mondo  tanto meno in questo paese, che io era libera, che tutti nasciamo liberi, che dovevo difendere i  miei  diritti e se qualcuno mi avesse discriminata nuovamente in palestra  dovevo avvisarlo.

Trascorsero i mesi ed io continuai ad incontrare Romàn in palestra, conversavamo o per lo meno ci provavamo siccome io non capivo, ma in quel periodo avevo comprato un traduttore elettronico che sembrava una calcolatrice grande come un portafogli, e così lui parlava ed io traducevo quello che mi dicevo con questo dispositivo; venni a sapere che proveniva dalla Romania e che lavorava nell’edilizia.

Quando lo vidi passare al supermercato avrei voluto correre e dirgli che capivo un po’ di più l’inglese e che lo parlavo anche, e che con la mia voce, in inglese volevo dirgli grazie, ma che avevo memorizzato una parola della sua madre lingua per dirgliela, perché ero sicura che un giorno lo avrei rivisto: Multumesc, (grazie). Molto probabilmente Romàn non avrebbe saputo chi fosse la sconosciuta che arrivava all’improvviso a dirgli grazie, o forse mi avrebbe riconosciuto, non lo so, l’importante è stato quello che lui ha fatto in quel momento, nell’agire davanti ad un razzista che urlava ad una donna migrante che non parlava inglese, di conseguenza non sapeva come difendersi.

Io non ho potuto, non sono riuscita a muovermi da dove ero, sono rimasta incollata al pavimento con il corpo di piombo, per quindici anni ho guardato questa parola in romeno per dirgli grazie e non sono riuscita ad avvicinarmi a lui, il giorno che l’ho rivisto. E Romàn, il brande Romàn, l’omone dagli occhi azzurri, dai capelli biondi, dalle spalle larghe, dal  cuore gentile è passato e se ne andato; come passano le ore, i giorni, come passa la vita: in un battito di ciglia, senza che noi ce ne rendiamo conto o senza riuscire a reagire.

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Ilka Oliva Corado @ilkaolivacorado

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