L’idioma dell’impero

Tradotto da Monica Manicardi

Ho sempre voluto imparare il francese per leggere La nausea e Le parole, di Sartre nella sua lingua, perché nelle traduzioni, per molto buone che siano in qualche momento si perde l’essenza, la purezza del testo che si mantiene solo leggendolo nella lingua nella quale è stato scritto in origine. Ma più di ogni altra cosa per ascoltare nella sua lingua le canzoni di Edith Piaf, perché non è la stessa cosa ascoltare una canzone e non capire ciò che dice, anche se è ovvio, la lingua del cuore è universale e Edith è anima pura.

Ho anche voluto apprendere il portoghese per leggere  nella sua lingua la grande Clarice Lispector e Carolina Maria de Jesus, perché non è lo stesso leggerle nelle traduzioni.

Non è la stessa cosa leggere Whitman in inglese  che in spagnolo. E perdersi il fascino della grande Nina Simone per capire la lingua nella quale canta. Che dire delle dichiarazioni di Martin Luther King o di Rosa Parks. 

Con questo voglio dire con non dobbiamo litigare con gli idiomi, perché gli idiomi non hanno niente a che vedere con le oligarchie nemmeno con le frontiere che ci hanno imposto. Non hanno niente a che vedere con le dittature né con i genocidi. Al contrario, gli idiomi ci avvicinano come popolo, alcuni hanno dovuto imparare l’inglese per tradurre i testi in castigliano di Martin Luther King, grazie a ciò sono letti in questa lingua.

Alcuni hanno dovuto imparare il francese per tradurre in inglese i testi di Sartre, o al contrario, imparare l’inglese per tradurli in francese. Comunque sia, qualcuno ha dovuto imparare un altro idioma per poter far arrivare ai popoli le parole, la poesia, la musica, in una forma di intercomunicazione molto valida e necessaria.

Faccio l’esempio della letteratura e della musica ma mi riferisco a tutto quello che ci circonda come umanità. Mi piacerebbe camminare per le vie della Mongolia e poter salutare un venditore di verdure nella sua lingua. Sapere come domandare dell’acqua o una direzione in giapponese. Ed inoltre capirlo alla perfezione per poter leggere nella sua lingua Hayashi Fumiko e non in spagnolo, perché nella traduzione si è perso  qualche borgata, una notte buia o una lacrima dell’autrice del Diario di una vagabonda.

Almeno apprendere una delle lingue dei Popoli d’Origine del Latinoamerica o di qualsiasi parte del mondo. Apprenderlo bene, non singole parole. Quando diciamo “l’idioma dell’impero”  riferendoci agli Stati Uniti e diamo la colpa al suo popolo e alla lingua inglese per le dittature e le ingerenze, stiamo accusando erroneamente basandoci su stereotipi, ignoranza ed una sbagliata identità.

Perché ne abbiamo già parlato dell’idioma dell’impero, per così dire e spiegarlo nella forma più semplice possibile; il castigliano non è stato imposto, a meno che comunichiamo al cento per cento nella lingua dei Popoli d’Origine, ma non è così, noi comunichiamo in castigliano, alla quale ci riferiamo come la nostra madre lingua. C’è una incongruenza molto grande e una disinformazione della storia e la necessità di mantenere e creare frontiere dove non ci sono, nel segnalare tassativamente di non apprendere l’inglese perché è l’idioma dell’impero.

Se apprendiamo un’altra lingua, qualsiasi essa sia, apriremo la mente ad un’altra cultura differente alle nostre, ma anche se differenti non  sono estranee, perché l’essere umano ha la spina dorsale che lo unifica, per quanto differente sia, questa è la diversità.  Siamo cresciuti con stereotipi, sì, ignoranti, sì. Siamo cresciuti con dogmi, tutto imposto dal sistema che cerca di dividerci per convenienza di coloro che hanno il potere che noi gli abbiamo dato per dominarci. E ci sono forme di dominio massive molto sottili con effetti tanto potenti che sono impercettibili perché li accettiamo come norma sociale o modello di educazione e li riflettiamo nei nostri stereotipi. Per esempio: le frontiere e negarci di apprendere altre lingue per questioni di dogma.

Aprire la mente è aprire il cuore. Non c’è alcun beneficio nell’individuale e nel collettivo nel litigare con gli idiomi e incolparli di quello che fanno coloro che odiano e annientano da una posizione di potere che da millenni gli abbiamo dato. Questa è anche una nostra responsabilità, perché quello che facciamo o non facciamo è politico. Perché contro la cultura, contro la fratellanza, contro la conoscenza, contro la socializzazione dei popoli non c’è riuscito nessuna guerra, nessun odio. Lì risiede la nostra forza e non lo sappiamo o pretendiamo di non saperlo.

“L’idioma dell’Impero” non esiste, esistono gli idiomi e niente più e sono le porte che ci permettono di conoscere altri mondi e fraternizzare come umanità. Ci sono anche azioni politiche molto sottili, che sono un modo di resistenza inesorabile, la conoscenza è una di quelle. Ma anche beneficiare lo è e lo spirito si riempe dello stesso quando calmiamo la sua sete: conoscere altre culture ci aiuta a capirci, a capire i nostri passi, i fili che ci intrecciano e così invece di creare frontiere impariamo a ridurre le distanze perché alla fine dei conti tutti andiamo verso lo stesso  posto anche se i cammini  che percorriamo sono diversi.  

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Ilka Oliva Corado @ilkaolivacorado

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