La linfa della bagassa

Tradotto da Monica Manicardi

Ci hanno fatto credere che il progresso è nel cemento, che il cemento è il progresso. Ci hanno fatto credere che l’industrializzazione è la prosperità delle società. Che per industrializzare si deve disboscare brutalmente e sterminare i popoli interi: rubandogli  l’acqua, la terra, il cibo e qualsiasi mezzo vitale di sussistenza. Questi popoli, ci hanno detto: non importa e che se si oppongono bisogna distruggerli  con una dura repressione, per questo i genocidi funestano la memoria collettiva.

Ci hanno detto che la civilizzazione è un concetto necessario per la sopravvivenza dell’umanità, che noi i docili siamo questi esseri civilizzati: invece quelli che resistono all’imposizione no. I Popoli nativi e la plebe devono essere il nemico da  battere, ci hanno anche detto  che in questa umanità di cui facciamo parte c’è spazio solo per i prescelti e che è esclusiva perché è composta dalla créme. Il siero deve essere scartato.

Per questo hanno utilizzato un colino il quale hanno chiamato educazione superiore e che l’hanno riempito di classismo, razzismo, omofobia, patriarcato, misoginia, dogma, doppia morale, stereotipi e insensibilità.  L’hanno consolidata nella smemoratezza. Ci hanno tolto la linfa dal siero e ci hanno fatto credere che siamo la créme della società. Sì, a noi ai sottomessi.

Ci hanno fatto memorizzare che una laurea universitaria ci divide dal branco e ci rende unici e laureati: irraggiungibile. Ci hanno fatto dimenticare le nostre origini. E abbiamo imparato che non siamo più la plebe e che al contrario: siamo  unici laureati, dottori, architetti, docenti, giornalisti, imprenditori in una gerarchia alla quale non potrà mai accedere la massa. Ci hanno fatto credere che siamo la créme  della bagassa diventata siero. Bagassa, la chiamano la linfa della nostra origine e per secoli lo abbiamo perso e coniato; ci hanno trasformato in  complici laureati che occultano l’abuso.

Con una laurea universitaria la créme  può sfruttare la sua stessa classe, può sfruttare la massa da cui proviene. E l’hanno riprodotta e accumulata nelle strade che sono state create per il loro isolamento. Un centro di detenzione enorme con l’apparenza del progresso, successo, trionfo e stabilità economica.

E noi abbiamo creduto di essere delle celebrità: intoccabili e immortali. E presto abbiamo cominciato a far parte della repressione alla plebe che si oppone.  Con la nostra inerzia di sudditi mentre ci distraiamo dipingendo i nostri carceri  e riempiendo le nostre prigioni sotterranee di mobili, scarpe, alimenti, ammucchiando titoli e diplomi per vivere delle apparenze necessarie degli esseri di successo.

E approviamo le compagnie minerarie sparendo con questo ad intere popolazioni, lontano dalle città  perché vogliamo tenete gioielli dentro le nostre carceri per sfoggiarli tra i prigionieri e per competere fra noi chi è capace di  accumulare di più.  Perché si tratta di questo: di una competizione di accumulo di tutto ciò che non serve per vivere: il consumismo come estensione del capitalismo. Siamo quella vena neoliberale e fascista della distruzione di massa. Sì, tanto fascista come quello che da l’ordine e quello che preme il grilletto.

All’esterno, a distanza dalla metropoli immersa dal cemento, dalla carcere con l’aspetto del progresso, ci sono i popoli  resistenti che  lottano per la loro libertà, senza darsi per sconfitti, difendendo la loro identità e la loro origine millenaria. Difendendo il loro diritto alla terra, all’alimentazione e ad una vita in libertà. Anche se con la nostra approvazione e silenzio di insensibilità e dogma dal comfort della créme si sono realizzate dittature cercando di sterminarli con sparizioni forzate, torture e genocidi che abbiamo approvato con la freddezza dei traditori all’occorrenza. Anche per un fattore di comodo, molti di noi cerchiamo di ignorare per non metterci nei guai, problemi di una grandezza da perdere i contatti che ci possono far salire di livello.

E come una dose di dignità e memoria la linfa della nostra origine ci continua a valorizzare  molto con nostro rammarico. Gli “incivili” quelli che non conoscono il “progresso”, quelli  liberi, selvaggi e feroci continuano a lottare per noi anche se noi stessi siamo contro. Sanno che sono la linfa del siero di cui siamo fatti anche se noi ci crediamo la créme.

Non sanno  della famosa “civilizzazione” e  non conoscono le prigioni di cemento e le competenze per la immortalità; conoscono la campagna, l’aria pura, la freschezza dei fiumi, la fertilità della terra, il  canto del gufo, il vento  prima che piova.

Gli  “incivili” conoscono le erbe che curano la nostalgia dell’anima, l’abbraccio fraterno, lo sguardo che abbraccia, la voce che accarezza, la solidarietà che ripara. Conoscono l’unità, la condivisione, la dignità, l’onore. La identità. Conoscono il rispetto in quanto superiore  per la terra ed i suoi frutti. Conoscono l’importanza del sole e della pioggia. L’importanza degli oceani e dei fiumi, come le api. Sanno che tutto in questo universo è intrecciato ed esiste per una ragione fondamentale per l’esistenza degli ecosistemi e la sopravvivenza di tutte le creature che lo formano, nessuna è superiore  all’altra.

Questo non lo insegnano all’università perché così formerebbero esseri pensanti che analizzerebbero e discuterebbero le imposizioni e l’inganno di coloro che per  secoli gli hanno fatto credere che sono la créme. Ci scopriremmo marionette. Forti muraglie di vite umane indottrinate per il tradimento. Sapremmo che il cemento non è superiore al muschio delle montagne né alle foglie dei guayabos. Sapremmo a quel punto che l’oro ed i diamanti non sono più importanti dell’acqua e della vita delle persone.

Sapremmo che quelli che esistono siamo noi,  dentro ad un enorme prigione e che rispondiamo a schemi precedentemente studiati per  essere condizionati  e avere una reazione dogmatica e insensibile di fronte all’abuso, quello che  siamo sottomessi  senza che noi ce ne rendiamo conto perché lo mascherano da progresso e trionfo. Formiamo una quantità esorbitante di massa amorfa che si muove a suo piacimento.

Ma mentre noi continuiamo assopiti nell’avarizia di chi ha di più, essendo le marionette di coloro che si credono i padroni del mondo, la linfa continua a resistere come lo ha fatto per millenni, lottando affinché la bagassa non continui ad essere utilizzata come uno strumento di disputa dinnanzi alla lotta inopportuna dei popoli  per la loro libertà.

Vorrei che un giorno le masse che vivono incarcerate nelle metropoli di cemento, sappiano che la laurea universitaria non restituirà l’acqua ai fiumi quando le compagnie minerario li prosciugano, e che la freschezza dei pomodori non potrà essere superata dall’oro, dalle lozioni raffinate nemmeno dai contatti “importanti”.  Spero che sappiano che i contatti importanti sono una illusione ottica della vita di falsità che offrono le metropoli di cemento.

Spero che un giorno abbiano la capacità di pensare con la propria testa ed unirsi alla linfa che con le radici del guayacàn e flamboyàn, si nutre della dignità e memoria per alzarsi ogni giorno per continuare in resistenza alla slealtà, all’abuso e alla repressione dei traditori.

Spero che arrivi il giorno nel quale sappiamo che siamo la spina dorsale, la giugulare, l’origine, la pertinenza e la brace viva. Spero che il risveglio sia come una tempesta, come un enorme tuono, come un tremito dal centro della terra, come un urlo che rimbomba nelle viscere  delle colline; un risveglio che faccia tremare coloro che hanno creduto di essere i padroni del mondo e della nostra vita, e torniamo alle nostre origini per lottare insieme alla nostra gente per recuperare tutto quello che ci hanno sottratto.

Magari…

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Ilka Oliva Corado @ilkaolivacorado

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