I paria nella solitudine dell'oblio

Tradotto da Monica Monicardi
Non riescono ad essere nemmeno gli ultimi della fila, sono quelli del sottosuolo, quelli della fogna, quelli dei fossati scavati con il martello e la punta della lancia, quelli che caricano sulle spalle l’ingiustizia e la insolenza e di doppia morale che li disonora.
Gli sfruttati a qualsiasi ora, tutti i giorni, in qualsiasi luogo.
Quelli della schiena indurita e le mani screpolate, quelli dell’anima ferita, da millenni. Quelli dallo sguardo trasparente e dal petto crivellato.

I paria, quelli che sniffano la colla, i mercanti, quelli coi piedi rovinati, le puttane dei sobborghi, i bifolchi, i braccianti, gli indocumentati, quelli bruciati dal sole, gli insignificanti, gli impronunciabili. I venditori del mercato, gli ambulanti. Le serve, i muratori, quelli che fanno tutto, quelli che non servono. Il manovale.
Quelli dei denti marci e la pelle infetta. Quelli dei piedi distrutti fra schegge e ansietà. Quelli che si tagliano le vene con bottiglie rotte nella confusione e nella precarietà. I matti di merda che vagano nelle strade trasmettendo storie che nessuno vuole considerare. Una bevuta che brucia il gozzo, del paria che piange lo sconforto, di essere nessuno in un mondo di merda, dove ciò che importa è l’adulazione.
Il paria dimenticato cammina di fronte, a volte vaga come sognatore, che un giorno la sofferenza sparisca, che un giorno la fame diventerà abbondante, l’allegria della pioggia che cade nella collina e quella dei bambini che saltano giocando a sognare.
Il paria stanco non si ferma mai, mostra il petto a qualsiasi disonore, sa che il suo nome non è delinquente, anche se è stato segnalato come truffatore. Sopporta e resiste da millenni, perché è brace rossa in cucina, la fiamma accesa che non si spegne mai, è il verso libero nella tormenta.
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Ilka Oliva Corado. @ilkaolivacorado contacto@cronicasdeunainquilina.wordpress.com

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