Il nord, la emigrazione imminente

Tradotto da Monica Monicardi
Il nord non sempre sono gli Stati Uniti, il nord, per i migranti i dislocati è un luogo lontano i quali vanno in cerca dell’utopia. Obbligati dalle circostanze, queste circostanze hanno responsabilità: uno Stato inefficace, un sistema dominatore per tradizione e una società inumana e insensibile.
Emigrano forzatamente dal villaggio alla capitale o in un altro paese e gli cambia la vita, da quando mettono il piede fuori dal loro nido, in quell’istante non saranno mai quelli di prima. Qualcosa si rompe, qualcosa di tanto valore e intimo che è impossibile ricostruire e recuperare. Si sfuma e ci divide in due : uno prima e uno dopo; ritorna ogni tanto nei sospiri lenti della nostalgia. E come i ricordi: non si possono toccare.

Le emigrazioni e i dislocamenti forzati, sono l’esilio più doloroso; una ferita viva, che sanguina, che non si asciuga più: nemmeno con il ritorno. Questa malinconia si trasforma in uno stato psichico che muta, perché chi viene forzato a lasciare il proprio nido, sono come gli alberi ai quali gli hanno strappato le radici e anche se vengono piantati in un altro luogo, non cresceranno mai rigogliosi. Anche se viene concimato o cambia la terra. E’ lo stesso con gli umani, anche se hanno materiali di lusso, anche se le cambia la vita lavorativa, mai, niente e nessuno riuscirà a riempire il vuoto della perdita: la radice non si può sostituire.
Ma tristemente nei casi reali della migrazione e dei dislocamenti forzati, che sono persone emarginate dal sistema nel quale vivono, devono affrontare una post migrazione di umiliazione e sfruttamento. Senza documenti e senza le risorse il dislocamento si trasforma in un inferno, vi è un abuso inimmaginabile di questi migranti, dalle autorità del paese in cui transitano, da bande delittuose che li spostano per fini infiniti e anche se riescono ad entrare nel paese di arrivo, li aspetta un altro tipo di inferno: quello della depressione post frontiera sommato al timore e alla paranoia costante di una deportazione e di giorno in giorno dello sfruttamento lavorativo.
Il paese dove arrivano può essere qualsiasi, le migrazioni interne sono sofferte giorno dopo giorno. Il contadino che lascia il lavoro nel campo per rinchiudersi nella città del cemento. Questo annienta qualsiasi spirito. L’invio di fondi, il sopraccarico di lavoro, il marchio di essere un migrante senza documenti o dislocato. L’eterna insonnia, l’apprensione e il dolore perenne del nido rotto. Per la famiglia distrutta, perché quando emigra un membro, la famiglia si frantuma e si perde, si perde qualcosa che non si potrà mai più recuperare. Con la migrazione e il dislocamento forzato perdiamo tutto, perché quando emigra un essere umano, emigrano le tradizioni, l’identità, la cultura, emigra il talento.
Questo talento che di solito nel luogo di arrivo non si può sviluppare perché le condizioni di circostanza sono anche di sfruttamento e abuso, soprattutto di invisibilità e vivono nell’ombra; nel caso di quelli senza documenti l’emarginazione è atroce. Come lo è per una indigena o un afro discendente che emigra internamente per arrivare in una città dove quelli della capitale li discriminano con il peggio del razzismo, non perché sono senza documenti, ma per la sua origine. E figuriamoci se questa persona parla solo la lingua della sua etnia.
Quando emigra forzatamente un essere umano, perdiamo tutto.
Quanto vale la vita di un paria? Affinché ne muoiono migliaia tentando di attraversare le frontiere della morte. Quanto vale la insensibilità e la doppia morale della popolazione mondiale affinché la migrazione e il dislocamento forzato interno ed esterno continui ad essere un tema che non importa?
Il nord non sempre sono gli Stati Uniti.
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Ilka Oliva Corado. @ilkaolivacorado contacto@cronicasdeunainquilina.wordpress.com
 

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